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Il percorso di affermazione di genere in Italia

​Nel 1982 con la legge 164 in Italia si affermava la possibilità di rettifica anagrafica del genere, solo nel caso in cui sia già stato svolto l’intervento chirurgico di affermazione di genere (demolitivo e ricostruttivo). Ad oggi la situazione si è evoluta, e l’operazione chirurgica sui genitali non è più obbligatoria per ottenere la riattribuzione anagrafica del genere sui documenti, in quanto è una procedura invasiva che può avere anche effetti negativi sulla salute (sentenza della Corte Costituzionale n. 221/2015 e sentenza della Corte di Cassazione n. 15138/2015).

In Italia per poter intraprendere un percorso di affermazione di genere è tutt'ora necessaria la diagnosi di disforia di genere, secondo la denominazione corrente del DSM 5-TR (APA, 2022), confermata in una relazione (o perizia) redatta da un professionista psicologo o psichiatra esperto in materia.

Dopo che la diagnosi di disforia di genere è stata accertata, è possibile procedere al trattamento farmacologico con bloccanti ipotalamici, (nel caso in cui lo scopo sia l'arresto dello sviluppo puberale del sesso biologico indesiderato dalla persona), o con ormoni femminilizzanti o mascolinizzanti, a seconda del genere di identificazione. La terapia farmacologica è prescritta da medici endocrinologi, e le linee guida sono quelle di iniziare la cura ormonale almeno un anno prima della presentazione del ricorso in tribunale, in modo che gli ormoni possano produrre sufficienti cambiamenti negli attributi sessuali secondari.  Nelle persone che desiderano fare la transizione dal genere femminile a quello maschile il fine della terapia ormonale è la regressione dei caratteri sessuali secondari femminili e l’induzione della virilizzazione. A questo scopo si somministrano gli androgeni, che determinano in circa sei mesi una ridistribuzione della massa grassa, un incremento della massa muscolare, della forza, e della libido (Bolona, Uraga, et al., 2007), cambiamenti nel tono di voce (Fisher, Amato, et al., 2016). Si rileva anche la crescita dei peli tipica dello sviluppo puberale maschile e un aumento delle dimensioni del clitoride. A lungo termine è possibile che il paziente sviluppi alopecia androgenetica, di intensità correlata alla durata del trattamento e della sua predisposizione genetica. Il ciclo mestruale è di solito soppresso circa 12 mesi dopo l’inizio della terapia (Dickersin, Munro, et al., 2007).
Nel caso opposto delle persone che desiderano fare la transizione dal genere maschile a quello femminile, l'obiettivo della terapia ormonale è la soppressione dei caratteri sessuali secondari maschili e l’induzione dei caratteri sessuali femminili. Per ottenere questa condizione la terapia prevede la somministrazione di estrogeni e antiandrogeni (Godano, Maggi, et al., 2009). Tra gli effetti femminilizzanti ci sono: la crescita della ghiandola mammaria (Meyer, Webb, et al., 1986), la riduzione del numero e dello spessore dei peli (Giltay & Gooren, 2000), l'aumento del grasso corporeo che si ridistribuisce sul seno, sui fianchi e sulle cosce, la diminuzione della massa magra. Al contrario di quanto si pensa, gli estrogeni non incidono sul tono della voce (Hembree, Cohen-Kettenis, et al., 2009). In entrambi i casi, gli effetti descritti sono risultati indicativi, ma i cambiamenti indotti dalla terapia ormonale possono variare in modo significativo a seconda delle caratteristiche individuali.
Una volta intrapresa la terapia ormonale, è possibile presentare ricorso presso il tribunale della città di residenza, di solito affidandosi a un avvocato competente. Il ricorso è per ottenere un'udienza, in cui il giudice delibera sulla riattribuzione anagrafica del genere sui documenti, ed eventualmente, sulla possibilità di sottoporsi alle operazioni chirurgiche di affermazione di genere demolitive dei genitali indesiderati e ricostruttive dei genitali maschili o femminili, a seconda del genere di identificazione. L'insieme di operazioni chirurgiche affermative si riferisce a tutte le operazioni compiute sui genitali, ma anche a quelle riguardanti il volto e il resto del corpo, che sono praticate per ottenere un aspetto più femminile o maschile in accordo con la propria identità di genere (Wroblewski, Gustafsson & Selvaggi, 2013).

Dott.ssa Camilla Taverna Psicologa

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